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Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi (2017)

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Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi (2017)



Regia/Director: Marco Martinelli
Soggetto/Subject: Marco Martinelli, Ermanna Montanari
Sceneggiatura/Screenplay: Marco Martinelli
Interpreti/Actors: Ermanna Montanari (Aung San Suu Kyi), Elio De Capitani (Inviato Onu), Sonia Bergamasco (Giornalista Vanity Fair), Roberto Magnani (Generale Ne Win), Vincenzo Nemolato (Moustache Brothers), Christian Giroso (Moustache Brothers)
Fotografia/Photography: Pasquale Mari
Musica/Music: Luigi Ceccarelli
Costumi/Costume Design: Giada Masi
Scene/Scene Design: Edoardo Sanchi
Suono/Sound: Marco Parollo
Montaggio/Editing: Natalie Cristiani
Produzione/Production: Ravenna Teatro Soc. Coop.
censura: 112587 del 24-10-2017
Trama: Dal buio entra in scena una bambina, avanza guardandosi intorno. Siamo in un grande magazzino, luce e buio accompagnano i suoi passi mentre si aggira in questo luogo dove lentamente inizia ad intravedere una serie di oggetti. Costumi, maschere, scenografie teatrali. Percorrendo lo spazio è come se percorresse un labirinto, senza vedere mai cos. chiaramente cosa l'aspetta dietro ad un angolo o dietro un fondale appeso che scende. La vediamo salire e scendere da soppalchi e scalette, attraversare fili fatti di perline nere. Il suo sguardo si sofferma come incantato su una vecchia cartina geografica dell'Asia, e la storia prende vita mentre la giovane narratrice ci prende per mano per raccontarci la vita agli arresti di Aung San Suu Kyi. Un interrogatorio, uno dei tanti tenuto dai militari, ci fa vedere Aung San Suu Kyi accerchiata dall'incalzare delle domande dei militari, e poi la vita a Oxford, la malattia della madre, il suo rientro in Birmania fino alle stragi dell'agosto 1988. Immagini di archivio dal sapore antico in bianco e nero si alternano nel racconto e alla narratrice si affiancano altre bambine che proseguono la storia evocando figure dalle maschere di scimmia; generali folli sottomessi ai loro astrologi, come i re birmani del passato, inviati dell'Onu tristemente impotenti davanti alle vere potenze che muovono il mondo e giornalisti occidentali in cerca di una "vita" da mettere in copertina. E cos. la libertà arriva nel 1995, subito dopo una famosa intervista rilasciata a una giornalista dell'edizione americana di Vanity Fair, che diventa la chiave della sua personalità arguta e ironica, mite e ferma. L'orchidea d'acciaio o la "Giovanna d'Arco birmana" che non indietreggia davanti all'arroganza dei Generali che vogliono intimidirla. Allora un nuovo incrudelimento del regime la riporta, di nuovo, agli arresti: Suu é stremata, torchiata da interrogatori che durano ore. La vediamo vacillare, quando i generali le impediscono di vedere il marito, costretto a morire lontano da lei in un ospedale di Londra. Ed è proprio il "coro" composto da più di trenta bambine, a raccontarci uno dei momenti più struggenti del film, insieme ad una Aung San Suu Kyi distrutta perché impossibilitata a raggiungere il capezzale del marito. Questa volta le condizioni degli arresti domiciliari sono ancora più dure, la casa sul lago è come "una tomba", non pu. incontrare nessuno e la vediamo sola, parlare con un filo di voce, la "voce dell'anima". Il dialogo con il geco immobile sulla parete della casa, è un momento lirico e drammatico, in cui solo gli spiriti, i libri, i fantasmi sono i confidenti in ascolto del suo sogno per la libertà e la democrazia. Nel racconto delle bambine-narratrici e della stessa Suu si mescolano canoni drammatici e arguzie, fatti storici e satira da teatro delle marionette, comici che sfidano la dittatura e tiranni che nella loro crudeltà sprofondano nel ridicolo. La "lezione di storia" procede e si conclude fino ad arrivare al 2010, anno del riconoscimento della scarcerazione di Aung San Suu Kyi, dove finalmente pu. camminare in uno splendido paesaggio birmano che si apre tutto intorno a lei, mentre avanza verso la libertà.

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